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Sono sempre stato affascinato dalla figura di Yuri Gagarin da quando, alla mia domanda su che cosa significasse il nome Yuri, mio padre mi disse che è una variante di Giorgio, in russo, e che Yuri Gagarin era stato il primo uomo a volare nello spazio cosmico, il primo pilota cosmonauta. Erano i primi anni ’80 del secolo scorso e a quell’epoca non immaginavo che cosa significasse realmente. Circa vent’anni dopo, scrissi un breve articolo sul primo viaggio cosmonautico umano su un giornale trimestrale della Camera del Lavoro: mi pareva infatti un’immeritata lacuna, che il 12 aprile 2001, quarantesimo anniversario dell’impresa, fosse passato praticamente sotto silenzio. Ad altri dieci anni di distanza, nell’aprile 2011, mi trovai in una città straniera, dove l’impresa di Yuri Gagarin faceva capolino da tutti i cartelloni pubblicitari, e decisi di seguire un flusso di parole e di suggestioni che mi raccontassero che cosa volesse dire per me quell’impresa.

In numerose occasioni mi sono incrociato in questi anni con la figura di Gagarin. Mi ricordo dei quadri di una scienziata russa, visti a Nizza nel 2002, e di quelli di Savina Ludmila, visti il 7 aprile 2011 a Vienna. Entrambe le pittrici — scavo nella memoria ma non sono sicuro di potere dire che siano la stessa persona — echeggiano icone di San Giorgio e paesaggi russi, tra naïve realismo ed espressionismo, alternandole a ritratti di Yuri Gagarin e di Konstantin Tsiolkovsky, lo scienziato veggente che tra ‘800 e ‘900 intuì e sognò la possibilità del volo cosmonautico. Ritrovai poi Gagarin nei cartelloni della mostra Weltraum. Die Kunst und ein Traum del Museum Quartier (MQ) per i quali fu scelta l’opera di Vladimir Dubossarsky e Alexander Vinogradov, Kosmonaut No. 1, del 2006. L’opera rappresenta una Barbie cosmonauta che echeggia una delle fotografie più famose di Gagarin, quella con il microfono e le lettere SSSR (CCCP) sul casco, un’immagine che già vidi anni fa su un calendario nell’ufficio di una collega di un’altra città (i suoi genitori all’epoca erano scienziati dell’ente spaziale russo). Mentre Gagarin si affaccia dalle pagine di Rodarii, la letteratura russa contemporanea è tuttora intrisa di riferimenti all’epopea scientifica e cosmonautica, dalle parole di Evtušenko a quelle di Pelevinii. Non sono solo riferimenti all’impresa di Gagarin ma anche agli episodi di altri voli, alcuni dei quali assolutamente sperimentali, come quelli delle cagnette Laika, Strelka e Belka, Pcelka e Muska, Zevdocka e Cernuska.

Riguardando tutto nell’insieme, lo Yuri Gagarin che appare è un’icona: un’icona della scienza positiva e delle conquiste della tecnica, per la Russia tradizionale e per la cultura scientifica russa, o, per la Russia contemporanea, un’icona mediatica privata del significato originale, cosa cui allude la sostituzione con Barbie, icona del consumismo occidentale, nell’opera di Dubossarsky e Vinogradov.

Non penso che l’icona Yuri Gagarin sia solo questo, ma, per questo, torno all’origine dei fatti, ai documenti dei primi giorni dopo l’impresa letti in traduzione italiana in un libretto del 1961iii. Ritorno al discorso di Nikita Serge’evic Krusëv, ai documenti ufficiali, alla conferenza stampa cui partecipò lo stesso Gagarin, e percepisco un delicatissimo equilibrio, una delicata sensazione di compensazione delle tensioni che cominciano subito a costruire l’icona di Yuri. L’entusiasmo per il compimento dell’impresa è controllato e bilanciato dalla dichiarazione di intenti pacifici, l’orgoglio dei Paesi socialisti dell’apertura agli altri popoli. Nell’appello congiunto del Comitato centrale del PCUS, del Presidium e del Governo si legge

Questa impresa che vivrà nei secoli è espressione del genio del popolo sovietico, della grande forza del socialismo. (…) Il culmine delle nostre vittorie nella conquista dello spazio è stato il trionfale volo compiuto attorno alla Terra da un uomo sovietico a bordo di una nave spaziale

ma, poche linee dopo, le parole si stemperano:

Consideriamo queste vittorie (…) non solo come una conquista del nostro popolo ma anche di tutta l’umanità: le poniamo con gioia al servizio di tutti i popoli,

e, ancora,

Poniamo i nostri successi e le nostre scoperte non al servizio della guerra, ma al servizio della pace e della sicurezza dei popoli.iv

Nel discorso di Krusëv, d’altro canto, si legge:

Il volo della nave cosmica «Vostok » (Oriente, NdA) è per così dire la prima rondine sovietica nel cosmo,

e, appena dopo, a proposito dei segreti della natura,

(…) metteremo questi sergeti al servizio dell’uomo, al servizio del mondo. Sottolineiamo: al servizio del mondo!v

La stessa sensazione di equilibrio si ha dalla descrizione delle figura di Yuri:

Un giovane dalle spalle larghe e gli occhi chiari e luminosi, modesto e allegro. Amava lo scherzo sapeva apprezzare un motto di spitiro. Aveva passione per lo sport, la matematica superiore, la musica e la letteratura,

ma con la semplicità d’animo per cui

il sottile umorismo che brilla negli occhi maliziosi (…) cede il posto all’estasi quando Yuri Alekse’evic assiste a un balletto o a un’esecuzione della « Beriozka ». Il balletto è la sua passione vi,

con l’accostamento della matematica superiore al balletto, discipline così apparentemente contrastanti ma in realtà intimamente legate dall’autodisciplina e dalla pazienza, da un lato, e dallo slancio e dalla creatività dall’altro. Lo stesso rapporto con la scienza è regolato — come giusto che sia, e per questo è discretamente ma fermamente enfatizzato — da entusiasmo e ottimismo temperati dal rispetto dei protocolli. Per citare solo alcuni episodi, durante una conferenza stampa, alla domanda se si possa riutilizzare la nave cosmica, Gagarin risponde :

Il problema riguarda più i nostri tecnici e ingegneri. Tuttavia penso di non sbagliare se dico che la nave e le sue attrezzature potrebbero essere ancora utilizzate per il volo nel cosmo.

Alla domanda se il volo sarebbe potuto durare più a lungo,

Il mio stato di salute durante il volo mi permette di affermare soggettivamente che avrei potuto restare in orbita più a lungo.

E, tra le due domande, l’entusiasmo è moderato dalla risposta alla domanda se si sarebbe potuto fare di più nel programma di lavoro durante il volo :

Penso che il programma era stato calcolato secondo le possibilità di realizzazione e io ho fatto tutto quello che dovevo fare.vii

Lo stesso si legge dai radiogrammi trasmessi durante il volo, asciutti ed essenziali, come verosimilmente dovevano essere per necessità, ma nondimeno in equilibrio tra note personali e note di servizio: il quarto radiogramma riporta, per esempio,

Mi sento bene. Umore ottimo. Proseguo il volo. Tutto va bene. La macchina funziona regolarmente.viii

Cercando ancora si scopre che non solo il pilota cosmonauta Yuri Gagarin è un’icona, ma anche Yuri Alekse’evic, l’uomo, il cittadino sovietico, figlio, marito e padre che circa un anno prima ha visto accettare la sua domanda di iscrizione al Partito. E così la famiglia intera, la moglie Valentina Ivanovna e le bambine Lenocka e Galocka diventano a loro volta icone della vita privata dell’eroe e del popolo sovietico. Ancora nel discorso di Krusev si legge

Nessuno poteva garantirle che il saluto dato a Yuri prima della partenza non fosse l’ultimo. Il coraggio dimostrato, la comprensione, la coscienza dell’importanza delle missione dimostrano il grande spirito di Valentina Ivanovna.ix

Saltando qualche pagina e tornando alla conferenza stampa, alla domanda se Yuri Gagarin avesse portato con sé la fotografia della famiglia o qualche talismano, egli risponde

Vi posso assicurare che non ho avevo alcun talismano o roba del genere. Non ho portato nemmeno fotografie perché ero sicuro di tornare sulla Terra e rivedere i miei familiari con i miei occhi.x

Yuri però trascese la costruzione mediatica del proprio ruolo ed emerse autonomamente nella propria figura di eroe dei tempi moderni, un eroe pacifico e della scienza. Il sorriso è spesso descritto come un sorriso aperto, franco, in cui c’è la composizione delle pulsioni, l’orgoglio per l’impresa compiuta con il riconoscimento per l’onore avuto di compierla, l’umiltà del servizio con la comprensione del proprio ruolo storico. Evtušenko ci dice che

Anche la faccia naturalmente era stata scelta, ma una faccia così non la puoi progettare appositamente in nessun piano segretissimo. Quella faccia sambrava composta dalla Terra stessa, raccogliendo tutti i suoi sorrisi, miracolosamente rimasti tali tra risolini e ghigni. La faccia di Gagarin era il sorriso della Terra inviato nel cosmo.xi

Il volo cosmonautico è stato un superamento delle colonne d’Ercole della Terra e un prolungamento di ambizioni marinare, il cosmo è stato un Oceano inesplorato. Ripenso al volo, alle sensazioni dette non essere dissimili da quelle descritte da Ciolkoskij, ai monti visti da Yuri Gagarin — uso qui le parole che Elisée Réclus scrisse circa 80 anni prima — come granelli di sabbia su un granello che è la Terra. Ripenso al silenzio delle condizioni di microgravità, verosimilmente senza nemmeno il ronzìo del motore, ormai spento una volta raggiunta l’orbita e poi riacceso per frenare e scendere, e alle fatiche richieste a un popolo di operai, tecnici e ingegneri, come per tante altre missioni scientifiche — come il raggiungimento del Polo della Quasi Inaccessibilità, in Antartide, dove recentemente la fusione del ghiaccio ha restituito un mezzo busto di Lenin installato all’inizio degli anni ’50 sul tetto della stazione permanente sovietica — e tecnologiche — come l’elettrificazione delle campagne e la diversione dei canali e dei fiumi –. Ritrovo un appunto da un viaggio per mare del settembre 2010 in cui mi sono annotato di avere visto una stella cadente fuori stagione, poco prima che un articolo su Alias mi smorzasse il romanticismo: le stelle cadenti fuori stagione sono verosimilmente meteore di space garbage, spazzatura cosmica che con le nostre imprese abbiamo lasciato qua e là nell’orbita e che ogni tanto rientra verso Terra consumandosi nell’attrito con l’atmosfera in una scìa luminosa, proprio come una stella cadente, ma di origine antropica come di origine antropica sono i Tecnosuoli dell’Antropocene, e così scopro a poco a poco che non solo distruggiamo suoli e contaminiamo acque, ma anche sparpagliamo spazzatura qua e là nel cosmo. Ecco che allora sia l’icona del cosmonauta Yuri Gagarin, eroe della scienza positiva, sia maggiormente l’icona dell’uomo con nome e patronimico Yuri Alekse’evic Gagarin, non è più solo l’icona di una conquista, né quella della devozione alla comprensione di un ruolo storico, ma, nella sua limpidezza e nel suo equilibrio, nel suo clear thinking, anche l’icona di ciò che nella letteratura russa contemporanea viene definita come nostalgìa futura, cioè nostalgìa non di ciò che è stato, ma di ciò che questi anni, alla luce delle promesse scientifiche e tecnologiche, avrebbero potuto essere. (Brescia — Vienna, 2001,2011,2013).

iSchwart, C., Capriole in cielo. Aspetti del fantastico nella letteratura di Gianni Rodari, Akademitryck, Valdermarsvik, 2005, p. 165

iiPelevin, V., Omon Ra, Mondadori, 1999

iiiL’uomo nello spazio, 1961

ivIbid., pp. 5—7

vIbid., p. 46

viIbid., p. 33. La Beriozka è una celebre compagnia di danze popolari russe.

vii Ibid., p. 72—73

viiiIbid., p. 21

ixIbid., p. 47

xIbid., p. 72

xiEvtušenko, E., cit., p. 3